Bologna

Il sequestratore armato di coltello nell'ufficio postale 

Reggio Emilia, si è arreso dopo oltre 7 ore il sequestratore alle Poste: liberi i quattro ostaggi

A Pieve, Francesco Amato (condannato a 19 anni per 'ndrangheta al maxi-processo Aemilia) ha tenuto quattro donne prigioniere nell'ufficio dalle 9.30 alle 16.40, armato di coltello. Nessun ferito. "Voleva parlare con Salvini, s'è accontentato dei negoziatori"

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REGGIO EMILIA -  "Vi ammazzo tutti". E' la minaccia con cui Francesco Amato, l'imputato condannato a 19 anni nel processo Aemilia contro la 'ndrangheta, era entrato intorno alle 9.30 prendendo in ostaggio cinque donne, quattro impiegate e la direttrice, nella filiale delle Poste di Pieve Modolena (Reggio Emilia). Una di loro intorno all'ora di pranzo si è sentita male e Amato l'ha fatta uscire perché fosse soccorsa, trattenendo fino alla fine le altre quattro.

Alle 16.43 il sequestratore si è arreso alle forze dell'ordine. Irruzione dei carabinieri e Francesco Amato è stato bloccato e portato fuori. Poco prima aveva rilasciato due ostaggi. Alla vista dei militari che portavano fuori il condannato di Aemilia, c'è stato un applauso delle persone presenti.

Il pregiudicato aveva chiesto, tra le altre cose, di poter parlare con il ministro dell'Interno Matteo Salvini. Ma la richiesta non è stata esaudita.

"L'uomo si è consegnato spontaneamente alla fine della negoziazione e non ci sono stati feriti" ha detto il colonnello dei carabinieri Cristiano Desideri, comandante provinciale: "Gli abbiamo fatto capire che i sequestrati non avevano colpe. Ce l'abbiamo fatta col tempo e con la pazienza, con tante lunghe telefonate, facendo leva sul suo senso di umanità. Non ha fatto del male a nessuno e neanche minacciato. Protestava contro una sentenza a suo parere ingiusta ribadendo di non essere uno ndranghetista. Voleva parlare con il ministro Salvini, ma alla fine si è accontentato di parlare con il team di negoziatori. Eravamo pronti a intervenire, grazie al cielo è bastata la persuasione"

Amato, dal momento della sentenza del maxi-processo di 'ndrangheta 'Aemilia', si era reso irreperibile per l'arresto ed era ricomparso solo questa mattina armato di un coltello da cucina con una lama di circa 25 centimetri nell'ufficio postale (del quale era cliente abituale).

"Sono quello condannato a 19 anni in Aemilia", avrebbe pronunciato il ricercato entrando nell'ufficio postale e facendo uscire tutti i clienti.

Reggio Emilia, condannato al processo Aemilia prende ostaggi in un ufficio postale


LA FAMIGLIA Un'azione dimostrativa contro una condanna ingiusta. Sarebbe questo il motivo che ha spinto Francesco Amato. Lo ha spiegato un fratello di Amato, giunto sul posto, durante le trattative con le forze dell'ordine. Si tratta di un familiare che non è stato imputato nel processo Aemilia. Sono vari i familiari del bandito radunatisi all'esterno delle Poste. "Diciannove anni sono un'ingiustizia che fa ribollire il sangue - dice la nipote - e lui è questo che vuole dire col suo gesto, del quale non so nulla e che sicuramente è sbagliato. Ma non è andato dentro per far del male. Vuole una riduzione della pena. ". All'uscita, la donna ha rivolto applausi e frasi di scherno agli agenti: "E' colpa vostra, è colpa dei giudici"

CHI E' Francesco Amato, 55 anni, è stato condannato il 31 ottobre a 19 anni e un mese di reclusione nel processo Aemilia, con l'accusa di essere uno degli organizzatori dell'associazione 'ndranghetistica. E' originario di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria. Fu arrestato, nell'ambito dell'operazione "Aemilia", il 28 gennaio del 2015. Assieme al fratello Alfredo, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bologna era "costantemente in contatto con gli altri associati (e della famiglia Grande Aracri) in particolare per la commissione su richiesta di delitto di danneggiamento o minaccia a fini estorsivi, commettendo una serie di reati".

In passato, peraltro, era incappato in analoghe inchieste giudiziarie contro la 'ndrangheta cutrese in Emilia, come quelle denominate "Grande Drago" e "Edilpiovra". Insieme ad altri suoi congiunti, tutti originari del Reggino, Amato aveva costituito un sodalizio che veniva considerato il braccio armato della cosca Grande Aracri.

Nel 2016, all'inizio del processo, lo stesso Amato aveva affisso un cartellone provocatorio davanti al tribunale di Reggio Emilia, scritto a pennarello e pieno di invettive. Amato si era autodenunciato poi in aula definendosi l'autore di quel cartellone in cui, diceva, "era anche contenuto il nome dell'autore delle presunte minacce al presidente del tribunale di Reggio Emilia Cristina Beretti", per le quali sono state arrestate nelle scorse settimane due persone, tra le quali un sacerdote.
Francesco Amato (foto Gazzetta Reggio) 
LA FIGLIA DI UN OSTAGGIO. "Mia madre è molto coraggiosa, ho visto che le tremava la voce, ma credo sappia cosa dire e cosa fare, non si merita nulla di quello che potrebbe fare questa persona ": è la testimonianza della figlia della direttrice dell'ufficio postale di Pieve raccolta da Telereggio.

E' stata proprio la figlia della direttrice  questa mattina a dare l'allarme ai carabinieri: secondo quanto raccontato dalla ragazza, 22 anni, si era recata nell'ufficio per portare un pacco alla mamma, quando l'uomo ha fatto irruzione, gridando "vi ammazzo tutti". Lei poi è riuscita a scappare: "Aveva in mano un coltello e lo puntava alle persone", ha raccontato ancora la ragazza, che ha concluso "voglio sapere se mia mamma sta bene, voglio che esca". Sul posto, oltre a una massiccia presenza delle forze dell'ordine, ci sono anche il sindaco di Reggio Emilia, Prefetto e Questore.
AEMILIA Il processo Aemilia ha visto il 31 ottobre la conclusione del suo dibattimento, con 118 condanne per oltre 1.200 anni di carcere e altre 24 in abbreviato: tra questi anche l'ex calciatore Vincenzo Iaquinta (due anni per reati di armi, ma senza aggravante mafiosa) e 19 per il padre Giuseppe. Sempre in abbreviato, sono già definitive in Cassazione le condanne per i promotori dell'associazione a delinquere di stampo mafioso contestata dalla Dda, che nel 2015 fece scattare oltre 160 arresti, assestando un forte colpo alla "Ndrangheta imprenditricè.