12 aprile 2018 - 17:35

Bologna, via dalla guerra ma non dalla musica: storie di migranti «finite» nel jazz

Un senegalese trapiantato a Roma e tre siriani che vivono tra il Belgio e la Germania, uniti dal bolognese Guglielmo Pagnozzi: il concerto venerdì al Binario 69 di via Carracci

di Francesca Candioli

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BOLOGNA - Alla costante ricerca della contaminazione, di quel suono universale che non ha confini e che unisce là dove qualcun altro ha tracciato muri e confini quasi inespugnabili. Guglielmo Pagnozzi, trapiantato a Bologna e dagli anni ’90 attivo sulla scena del jazz, è andato a cercarseli uno ad uno tra la Germania e l’Italia. Quattro musicisti, tutti migranti con un prima e un dopo legati al Paese d’origine e al posto in cui vivono oggi, con cui collaborare per quasi un anno. Un gruppo affiatato, già ospitato a gennaio a Berlino e in residenza creativa al Binario 69 di via de’ Carracci da circa una settimana, che venerdì sera (13 aprile), a partire dalle 22, si esibirà sul palco dello stesso locale, dove per giorni ha provato e riprovato le sue musiche. Un posto che da più di un anno, da quando è stato aperto dai tre giovani titolari, è diventato un punto di riferimento per tutti gli amanti del jazz, quello di qualità e che si possono permettere tutti, e una seconda casa per artisti come Pagnozzi e Carlo Atti.

La nascita della band

Tutto ha inizio a fine dicembre quando il clarinettista viene contattato dallo staff di Sound Routes. Notes to get closer, un’iniziativa dedicata all’integrazione sociale e professionale di musicisti migranti e rifugiati, per dare vita ad una band, di cui lui sarebbe diventato il direttore artistico, pronta ad esibirsi il prossimo ottobre a Berlino, alla Werkstaat Der Kulturen, e a novembre al Bologna Jazz Festival. «La mia storia musicale è sempre stata all’insegna della contaminazione, non ne potrei fare a meno - spiega il jazzista -. L’idea è quella di mettere insieme i nostri repertori, unendo le nostre rispettive tradizioni sonore: da quella senegalese, a quella siriana e a quella più europea. Sono tutte persone con una storia professionale alle spalle di tutto rispetto: prima di arrivare in Europa erano già inseriti nel panorama musicale dei loro rispettivi Paesi». Ma nessuno di loro, nonostante le difficoltà date da un contesto nuovo in cui ambientarsi, ha mai voluto smettere di suonare.

I musicisti

Con Papis Diouf, il bassista del gruppo, un 43enne nato a Fatick vicino a Dakar, da quattro anni a Roma, è stato un fulmine a ciel sereno. A suggerire a Pagnozzi questo nome, che è andato a cercare nella capitale, sono stati gli stessi ragazzi della comunità bolognese senegalese con cui il jazzista collabora da anni, grazie alla sua Orchestra sociale Afrobeat. Un appuntamento, a cui non manca da sei anni, fatto di jam session e continue sperimentazioni libere tra musicisti che provengono da tutte le parti del mondo. Negli anni, da via Zamboni si è spostato all’Xm24 per poi arrivare al Locomotiv. «Ho iniziato a suonare la chitarra da piccolissimo, mio padre non voleva, così mi facevo qualche ora di cammino ogni volta per andare da un amico che aveva gli strumenti» racconta Papis. Dopo di lui, Pagnozzi ha selezionato tre siriani che oggi vivono tra il Belgio e la Germania: Shalan Alhamwy, violinista e compositore poco più che trentenne, che in Siria, dove stava prima del 2015, suonava per l’orchestra nazionale; Alaa Zaitounah, il più giovane, 27enne, che suona l’Oud come uso padre, e Tarek Fahham. Un sessantenne che, con la figlia di cinque anni in spalla e la moglie, si è fatto tutta la rotta balcanica per arrivare a Berlino. È un batterista, che ha collaborato con le principali star nel mondo arabo. «Per me la musica è tutto: ho fatto questo per una vita intera» spiega mentre mostra un’immagine di lui negli anni ’80 con una chioma invidiabile e la sua batteria.

Il progetto

La loro residenza artistica in città si inserisce in un progetto, The Sound Routes, finanziato attraverso il programma Europa Creativa e alcuni fondi dall’8 per mille per la parte italiana. «Questa della band di Pagnozzi - spiegano le coordinatrici Caterina e Claudia - è solo una delle tante iniziative inserite dentro questo progetto di più ampio respiro, che si rivolge a musicisti migranti e rifugiati, offrendo loro la possibilità di esprimersi e socializzare attraverso la musica, entrare in contatto con le comunità locali e supportarli sia nel processo di integrazione che in quello di creazione anche di nuove opportunità professionali» . Si tratta di un percorso che ha già portato centinaia di migranti e rifugiati ad incontrarsi con altri musicisti autoctoni sotto diversi cieli europei, tra jam sessione e concerti, per condividere ritmi e sound dal sapore universale. Per info: www.soundroutes.eu.

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