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L'idea di un gruppo di indiani che sfruttava gli immigrati irregolari.

Gli schiavi del volantinaggio
con il collare elettronico

A Vicenza il «controllo totale» dei lavoratori in nero

L'idea di un gruppo di indiani che sfruttava gli immigrati irregolari.

Gli schiavi del volantinaggio
con il collare elettronico

A Vicenza il «controllo totale» dei lavoratori in nero

Un'organizzazione di indiani con sede nell'ovest vicentino, al centro di un vasto giro di volantinaggio illegale fatto di lavoro nero, evasione e frode fiscale, è stata sgominata dalla Guardia di Finanza, ma non è questa la notizia vera. La notizia vera è che questi nuovi padroni controllavano i loro lavoranti, quasi tutti ovviamente immigrati irregolari e quindi ricattabili, attraverso una catena elettronica dalle maglie invisibili collegata a un gps.


La tecnologia non ha un'etica, può essere utile al chirurgo, all'astronauta o al criminale, per sua natura non guarda in faccia nessuno. Non solo: più la tecnologia avanza e occupa spazi, più il pensiero si ritira in aloni opalescenti, fino a rarefarsi del tutto. È probabile che i nuovi padroni colti in flagranza di reato abbiano sgranato gli occhi di fronte alle accuse. Che c'è di male a dotare di collarino gps i tuoi schiavi? Prima c'era la palla al piede, le catene, adesso gli rendiamo la vita più facile, e voi pure vi scandalizzate? Chi tiene gli occhi bassi sulle cose non ha tempo per pensare: o è troppo intento a far soldi o sta sudando per farli fare a qualcun altro. È stupefacente il mondo che si nasconde dietro queste giustificazioni e la loro patina di laboriosità. Sotto i nostri occhi ogni mattina va in scena una commedia piena di gente indaffarata, ragazze che sorridono ai banchetti dei surgelati in promozione, agenti immobiliari in grisaglia che offrono sempre nuove perizie, giovani africani che ingombrano i tergicristalli e le cassette della posta di stramaledetti volantini pubblicitari. Li accettiamo i loro volantini. Alla fin fine, pensiamo, hanno un lavoro, ce l'hanno fatta. Guarda che bei caschetti, che belle pettorine, che belle biciclette. Siamo quasi contenti per loro. Mica ci siamo chiesti se quei caschetti servono a farli pedalare più sicuri o a nascondere un guinzaglio di ultima generazione.

La commedia va in scena ogni giorno secondo il copione ormai consolidato del «purché si lavori», ma dietro le quinte lo sfruttamento ha raggiunto livelli di ferocia che farebbero impallidire un dramma come Furore. Quando John Steinbeck pubblicò il suo romanzo, i gps non esistevano ancora. Era il 1939, piena depressione, e i nuovi poveri degli stati del sud migravano verso la California in cerca della semplice, bruta sopravvivenza. Era gente talmente affamata da non avere alcun potere contrattuale e quindi perfetta per il cottimo dei proprietari terrieri. Ognuno di quei lavoratori stagionali aveva ovviamente una sua storia - uomini, donne, figli, individui che amavano e soffrivano - ma veniva percepito a malapena come parte di una massa pericolosa di nullatenenti o, peggio, come un'ottima occasione speculativa. Vi ricorda qualcosa? Guardate fuori dalla finestra.
Il romanzo di Steinbeck, così pieno di passione e dolore, lasciava intuire una cosa importante per il futuro: sfruttata, offesa, ferita che fosse, quella gente non avrebbe smesso di arrivare. Altri avrebbero viaggiato per migliaia di chilometri, si sarebbero spezzati la schiena nei campi di pesche, ricacciando in gola l'orgoglio, la rabbia, tutto, in attesa solo di diventare cittadini. Senza cottimo, e forse oggi potremmo dire anche senza gps.

Mauro Covacich
14 maggio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA

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