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Cooperazione & Relazioni internazionali

Luca de Fraia (ActionAid): «Il fallimento del G7, uno specchio dei nostri tempi»

Nonostante il lavoro della diplomazia italiana e della società civile, il Summit del G7 si è chiuso su una nulla di fatto. Anzi, le divergenze apparse alla luce del sole a Taormina (e cioè la rottura di Trump con i suoi omologhi) sono lo specchio dei tempi difficili che si annunciano per chi è impegnato nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Il commento di Luca De Fraia, Segretario generale aggiunto di ActionAid Italia

di Luca De Fraia

A conclusione del G7 di Taormina, un riconoscimento particolare dovrebbe andare alle organizzazioni non governative che in questi mesi si sono mobilitate sui temi del Vertice. Un indispensabile esercizio di partecipazione in tempi nei quali per la società civile si chiudono gli spazi; fenomeno del quale rischia di non essere immune neanche l’Italia, vista la polemica di queste settimane contro le iniziative a tutela di immigrati e rifugiati. Nei giorni del Summit, le ONG hanno continuato a svolgere un prezioso lavoro con la presenza attiva nel centro stampa ufficiale, a Giardini Naxos: hanno offerto la memoria di quanto i Vertici hanno promesso e realizzato in questi anni, collocando le conclusioni di Taormina nel quadro più ampio degli orientamenti della comunità internazionale.

La Presidenza italiana del G7, va riconosciuto, si è aperta in più occasioni al dialogo con la società civile nazionale e internazionale. Un percorso complesso, avviato nel gennaio di quest’anno con un incontro con gli Sherpa dei sette Paesi e proseguito con il Civil 7 di fine aprile, ovvero l’evento della Presidenza che ha permesso di discutere l’avanzamento dell’agenda italiana alla presenza dei diversi esperti che in questi mesi hanno cercato di sviluppare le iniziative su sicurezza alimentare, migranti e rifugiati, empowerment delle donne e salute globale. Un’apertura al confronto che non si può prendere per scontata e che è anche il frutto di un lunga pratica di dialogo con le organizzazioni di società civile, che aveva dato degli esiti positivi già in occasione del Vertice de L’Aquila del 2009.

La Presidenza italiana del G7, va riconosciuto, si è aperta in più occasioni al dialogo con la società civile nazionale e internazionale.

Troppe attese tradite

Il Summit di Taormina meritava un esito diverso. Il formato del Vertice, di fatto una giornata di lavori, e del comunicato finale, sei pagine, raccontano la difficoltà a raggiungere intese su materie complesse e a proporre iniziative concrete. In questo senso, il confronto con il precedente de L’Aquila, offre un verdetto severo. Nel 2009, fu avviata un’iniziativa sulla sicurezza alimentare che avrebbe mobilitato 22 miliardi di dollari nei successivi tre anni. Per Taormina, ci si attendeva un’intesa per rilanciare iniziative in Africa Sub-Sahariana, anche con l’intento di promuovere un approccio fondato sullo sviluppo per affrontare le cause profonde dei processi migratori. La lotta alla fame del mondo viene invece raccolta in quattro brevi sezioni nelle quali, nel migliore dei casi, vengo riaffermati scelte già consoliate, senza nessuno nuovo impegno ad investire nel settore. Anche l’aspettativa di un rilancio delle iniziative per contrastare le crisi in Sud Sudan, Somalia, Nigeria e Yemen sono state mortificate. Il Vertice del 2017 segna un passo indietro anche su un altro aspetto importante: non è stato pubblicato il G7 accountability report, che invece era atteso per il mese di maggio e che avrebbe dovuto fornire il quadro delle iniziative su educazione.

ci si attendeva un’intesa per rilanciare iniziative in Africa Sub-Sahariana, anche con l’intento di promuovere un approccio fondato sullo sviluppo per affrontare le cause profonde dei processi migratori.

Altri verdetti chiari sono giunti sulla questione del clima, rispetto alla quale c’è una conferma plateale dell’intenzione degli Stati Uniti di rompere il fronte comune a sostegno degli accordi di Parigi. Anche la formula concordata su migrazioni e mobilità umana è una soluzione che parla di divisioni, riaffermando che ogni singolo Paese potrà stabilire le proprie politiche sulla base dell’interesse nazionale, anche in tema di sicurezza, rispetto alle quali la difesa dei diritti umani dei migranti e rifugiati costituisce un riferimento di circostanza. Una nota positiva è l’attenzione dei Leaders al tema dell’empowerment femminile, al quale è dedicata una roadmap, che raccoglie i principi per ispirare l’azione del G7 sul tema.

L’imputato naturale per un esito del Vertice lontano dalle attese è la transizione politica che attraversa da mesi i Paesi G7; dalla nuova amministrazione statunitense, il messaggio più volte ripetuto è che sono adesso in una fase di revisione delle politiche, per marcare una differenza dalla precedente presidenza USA. Dagli altri Paesi, non è giunto all’Italia quel sostegno che sarebbe stato necessario, presi anch’essi dalle proprie priorità: elezioni in Francia e Gran Bretagna; per la Germania, la presidenza del G20 e la tornata elettorale di settembre. In questo senso il Vertice di Taormina è stato un passaggio a suo modo utile, chiarendo che il G7 è forse pronto per tornare alle origini, come luogo di discussione e compensazione fra sette leader globali. Ma il mondo è cambiato; senza una credibile assunzione di responsabilità sui temi globali, la comunità internazionale, a partire dalla società civile, dovrà fare affidamento su altri attori e istituzioni per affrontare le sfide dei prossimi anni, iniziando dalla realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Foto di copertina: I leader del G7 riuniti a Taormina. Credito: Palazzo Chigi.


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