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SABATO LA CONFERENZA NAZIONALE DI SLC-CGIL

Call center: l'ultimo rifugio dei precari
minacciato da schiere di non-immigrati

Al centralino rispondono albanesi, romeni, tunisini: parlano un italiano stentato, ma costano molto meno
A Roma, congresso nazionale di settore con Camusso

SABATO LA CONFERENZA NAZIONALE DI SLC-CGIL

Call center: l'ultimo rifugio dei precari
minacciato da schiere di non-immigrati

Al centralino rispondono albanesi, romeni, tunisini: parlano un italiano stentato, ma costano molto meno
A Roma, congresso nazionale di settore con Camusso

Una scena del film «Tutta la vita davanti», dedicato ai giovani dei call center
Una scena del film «Tutta la vita davanti», dedicato ai giovani dei call center
ROMA - Vite in standby nei call center di tutta Italia. Di quest’universo composto, per lo più, da donne under-40 laureate e precarie, hanno parlato film, documentari, libri e inchieste giornalistiche. Guadagnano meno di mille euro al mese. Fanno orari massacranti. Eppure rischiano di vedersi soffiare il posto da «colleghi» albanesi, romeni e tunisini che parlano un italiano più stentato ma costano molto meno. E l'ultima frontiera del precariato, la delocalizzazione dei call center. Se ne parlerà nella «Terza conferenza nazionale delle lavoratrici e lavoratori dei call center» organizzata a Roma venerdì 18 e sabato 19 febbraio da Slc-Cgil (il principale sindacato del settore) per fare il punto sul settore.

Un call center a Roma
Un call center a Roma
TELEFONI TRASFERITI ALL'ESTERO - La delocalizzazione colpisce anche il Lazio: spariscono posti nei call center perchè i centralini sono stati spostati all'estero, ed ora impiegano schiere di non-immigrati; extracomunitari (ma anche cittadini comunitari, come i romeni), che non hanno più bisogno di arrivare in Italia per trovare lavoro presso una società tricolore.
Alla conferenza di Roma, i delegati locali si ritroveranno insieme al Segretario della Cgil, Susanna Camusso, ad analizzare questo ed altri problemi di un settore duramente colpito dalla crisi (nel 2010 si sono persi 8mila posti di lavoro in tutta Italia) e avanzare nuove proposte. «Il Lazio è una delle regioni dove l’occupazione è più a rischio. Abbiamo diverse situazioni critiche che teniamo sotto osservazione», afferma Natascia Treossi, segretario Slc-Cgil di Roma e Lazio.

Una protesta dei lavoratori Eutelia , società specializzata nella gestione di call center (foto Ansa)
Una protesta dei lavoratori Eutelia , società specializzata nella gestione di call center (foto Ansa)
63 MILA ADDETTI IN ITALIA – Stando ai dati del sindacato aggiornati a settembre 2010, il comparto nazionale conta tra 63-64 mila addetti. Una buona fetta di questi, circa 11mila, lavora nei call center outsourcing (ovvero quelli che lavorano su commessa di grandi aziende) del Lazio. «La crisi continua a colpire – spiega la Treossi – nello scorso anno abbiamo perso 430 posti. A rischio poi, ci sono altri 1.100 lavoratori, circa il 10 per cento degli occupati nel settore in regione».
L’emergenza continua ancora oggi e «purtroppo, alcune situazioni si sono aggravate». Un esempio da manuale: «La protesta dei 118 lavoratori della Herla di Pomezia che, a ottobre, sono dovuti salire sul tetto e occupare il call center perché non venivano pagati da un anno – ricorda la sindacalista -. Abbiamo ottenuto la cassa integrazione in deroga a zero ore, ma è scaduta lo scorso 31 dicembre e aspettiamo che la Regione Lazio la rinnovi».

Manifestazione dei ragazzi del call center della Cronos (foto Faraglia)
Manifestazione dei ragazzi del call center della Cronos (foto Faraglia)
CONTRATTI E COMMESSE – A mettere a rischio il settore sono i repentini fallimenti e cessioni di rami d’azienda dei call center in outsourcing. «La Slc-Cgil ha chiesto di legare i contratti alle commesse – spiega la Treossi - cosicché se l’azienda fallisce o viene ceduta, i lavoratori continueranno a svolgere le stesse mansioni, ma saranno pagati da chi subentra». Un esempio positivo è proprio a Pomezia, dove lo scorso dicembre si è chiusa la vertenza dei 146 lavoratori della Cronos: «Dopo una trattativa serrata sono stati assunti dalla nuova società Comdata – aggiunge –. Azienda e lavoratori hanno fatto sacrifici, ma siamo riusciti a garantire i posti di lavoro. Ed entro giugno saranno ricollocati anche i pochi addetti rimasti finora esclusi dall’accordo».

Protesta dei lavoratori del call center Atesia (Ansa)
Protesta dei lavoratori del call center Atesia (Ansa)
IL «DUMPING» SALARIALE - Dietro alcuni fallimenti o cessioni, però, non si nasconde la crisi economica. Le società preferiscono delocalizzare il servizio in Paesi dove il salario costa meno (Albania, Romania e Tunisia appunto). «Vogliamo inserire una clausola sociale contro il dumping salariale nel contratto nazionale – dice la Treossi –, perché questa gara a ribasso non tutela né l’occupazione né la qualità del servizio».
In effetti, a rischio non è solo il lavoro in Italia (più costoso che altrove), ma anche la privacy. «La nostra normativa è molto garantista sul trattamento dei dati personali – conclude la sindacalista – ma non possiamo certo sapere se lo siano anche quelle albanesi, tunisine o romene. E non si tratta di un problema minore: molto spesso, al telefono forniamo dati sensibili come il numero della carta di credito o informazioni che riguardano la nostra salute».

Carlotta De Leo
17 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA

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21 COMMENTI COMMENTI
Boicottate le aziende in questione, e fate reclami
17.02|17:06

ho notato questo fatto, da un anno quando chiamano a casa per fare offerte o altro a volte la voce e' chiaramente non Italiana. Io in questo caso ho sempre chiesto educatamente che mi si passasse un operatore Italiano, e ho fatto notare che gia' queste telefonate sono fastidiose, se poi le fanno fare da chi non parla neanche bene venderanno ancora meno. Idem se dovete chiamare un call center, se chi mi risponde non parla bene Italiano io protesto, e li informo che non comprero prodotti dell'azienda in questione. In UK e negli USA questo problema coi call center esiste da anni, e molte aziende li stanno riportando li per le proteste dei clienti. In generale, cerchiamo di comprare piu prodotti made in italy, invece che lamentarci che il lavoro va in altri paesi. ps. scusate per gli accenti, ma il forum non me li accetta.

@Brunonor: leggere prima di commentare...
17.02|16:46

Nell'articolo si parla di "non-immigrati"... cioè stranieri che lavorano nel loro Paese. La responsabilità di questo stato di cose, dunque, è della delocalizzazione delle aziende, pertanto della globalizzazione. Non si capisce, poi, cosa c'entri Berlusconi... Bah...!

realismo
17.02|16:44

Credo che molte delle persone che si lamentano delle globalizzazione siano però ben contente di pagare vestiti, computer, telefoni, vacanze, e perchè no colf, babysitter (le ragazze italiane non lo fanno) e portinai, a prezzi irrisori rispetto a quelli che pagavano i nostri nonni. Se chiudessimo le frontiere, quanti beni si moltiplicherebbero di prezzo? O forse confrontano la situazione attuale con quella di vent'anni fa: quando ci si godeva le baby-pensioni e non c'erano immigrati; peccato però che si accumulasse allora il debito pubblico che ci sta schiacciando. Ripeto: bisogna difendere il valore del lavoro, prima di tutto tutelando chi lo perde, poi chiedendo condizioni di lavoro umane in tutto il mondo, infine pretendendo un servizio che non sia una presa in giro (come quello di certi call center che sono stati citati). Ma il lavoro di un filippino, di un indiano o di un albanese vale quanto il mio, se è fatto allo stesso modo: ho diritto di essere pagato 5 volte tanto, solo perchè sono nato in Italia? Pensiamo piuttosto a tornare a investire nella ricerca e nel sapere.. 60 anni fa vincevamo premi Nobel per la scienza, dopo non è più successo: perchè?

Gli immigrati arrivano comunque......
17.02|16:31

....quindi meglio non scrivere stupidaggini circa la capacità o meno dell'Italia di accoglierli: dobbiamo attrezzarci, punto e basta. Serve ad evitare tensioni e scontri peggiori di quelli capitati e a trasformare un problema in un'opportunità per noi, paese con tanti anziani e che per questo ha bisogno di nuova manodopera giovane. Ma soprattutto di nuove idee di business, per rilanciare la nostra economia in difficoltà. Se accadrà, si vedrà che gli immigrati attuali non basteranno.

L'agnello di dio ...
17.02|16:05

Ma non eravate voi che li volevate? Che gridavate che noi eravamo razzisti quando manifestavamo seri dubbi sulla capacita' del paese di accoglierli? Teneteveli adesso e buon pro vi faccia. E date pure la colpa al sig. B., tanto ormai e' come l'agnello di dio ...

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