Le condizioni di salute di Nelson Mandela sono diventate «critiche»: l’amato 94/enne ex presidente, padre del Sudafrica democratico e multirazziale, icona mondiale della lotta nonviolenta, nelle ultime 24 ore è peggiorato ulteriormente dopo 15 giorni di ricovero in un ospedale di Pretoria per un’infezione polmonare, che ha la sua genesi nei 27 duri anni di prigione e che lo ha tormentato negli ultimi anni a fasi alterne. Obbligandolo a ritirarsi non solo dalla vita pubblica, ma anche dalle apparizioni, l’ultima delle quali risaliva alla finale dei Mondiali di calcio del 2010.

«La salute dell’ex presidente Nelson Mandela, che è sempre in ospedale a Pretoria, è divenuta critica», annunciava in serata un comunicato della presidenza sudafricana’’, in cui si invitava «la nazione e il mondo a pregare per lui». «I medici - si legge - fanno tutto il possibile perché il suo stato migliori, perché Madiba sia trattato con ogni riguardo e perché torni a stare bene». Dunque «è in buone mani». Al suo capezzale, spiega la nota, vi sono in queste ore la moglie, Graza Machel, il presidente Jacob Zuma e il vicepresidente dell’Anc - il suo partito, al potere dal 1994 - Cyril Ramaphosa.

Il nuovo, drammatico bollettino su Mandela arriva solo un giorno dopo che la stessa presidenza era stata costretta a rompere un silenzio durato una settimana, dicendo che le sue condizioni permanevano «gravi ma stabili»: una precisazione resa inevitabile da dichiarazioni dell’emittente Cbs, secondo la quali le sue condizioni sarebbero state «molto più gravi di quanto facessero trasparire i comunicati ufficiali», affermando che al suo arrivo in ospedale Mandela aveva dovuto essere rianimato, che le sue funzionalità epatica e renale erano ormai ridotte del 50%, che in realtà l’anziano statista «non reagiva più alle cure». E rivelando anche che al momento del trasporto in ospedale, l’8 giugno, l’ambulanza era andata in panne e Mandela, nell’angoscia della moglie e dei suoi cari, aveva dovuto aspettare 40 minuti ai bordi dell’autostrada perché ne arrivasse un’altra.

Di recente la tensione attorno all’ospedale di Pretoria era calata, buona parte dei giornalisti che l’affollavano da settimane aveva cominciato ad andarsene in buon ordine perché i rassicuranti bollettini ufficiali, fino a una settimana fa, avevano ripreso a dire che Madiba «reagiva bene» alle cure e faceva «progressi».

Ma che le cose stessero peggiorando drammaticamente lo aveva in un certo senso comunicato in modo affettuoso un vecchio amico personale di Mandela, Andrew Mlangeni, che commosso aveva detto che è arrivato il tempo in cui bisogna «lasciarlo andare».

Ora il Sudafrica, ormai rassegnato da tempo alla sua morte imminente, torna a pregare per il leader amato dal suo popolo, ammirato dal mondo democratico, visto come esempio dai terzomondisti di tutto il mondo, stimato dalla stessa minoranza bianca alla quale Mandela e l’Anc, malgrado tre secoli di dominazione bianca e 40 anni di regime razzista segregazionista, ha saputo assegnare un posto nella società multirazziale e democratica.

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