Milano, 2 aprile 2016 - 22:15

Il benefit? Più tempo libero

I lavoratori (soprattutto i giovani) lo preferiscono agli scatti economici. E molte aziende hanno capito che così si attirano i dipendenti migliori

Disegno di Alberto Ruggieri Disegno di Alberto Ruggieri
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«Non accetterei di limitare la gestione del mio tempo personale e professionale neppure in cambio di uno stipendio più alto». Carlo Rinaldi, 35 anni, è il direttore digital marketing di Microsoft Italia: sovrintende alla comunicazione con gli utenti della società attraverso 100 mila pagine online e dodici profili sui social media. Un lavoro di responsabilità di solito associato alla carriera prima di tutto. «Io invece sto in un’azienda che non mi costringe a scegliere tra la realizzazione professionale e gli interessi personali» dice. Rinaldi fa parte di quella «nuova» generazione di lavoratori che pur investendo molto sul lavoro, ai tradizionali benefit carrieristici preferiscono una migliore conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.

Addio cartellino

«Dirigo un coro gospel — spiega Rinaldi —. Mercoledì sera, per esempio, grazie alle nostre forme di “lavoro agile” e alla tecnologia, ho potuto continuare a seguire un evento mondiale della comunicazione Microsoft mentre andavo da Milano a Como per le prove. Non cambierei mai per un posto che funziona su orari classici, neppure se le condizioni economiche fossero migliori», aggiunge.
In Microsoft Italia c’è un’assoluta flessibilità di orario: non si timbra il cartellino e compatibilmente con il lavoro in team, il raggiungimento degli obiettivi e la gestione del calendario condiviso, si possono spostare gli orari come si preferisce. Lavora con questa modalità oltre la metà dei dipendenti tutti i giorni (il 57 per cento).

Il lavoro «agile»

Le aziende sanno che il rispetto dei tempi di vita è sempre più importante anche per i lavoratori qualificati e ora lo usano per attirare i dipendenti migliori. «Lo vediamo con i giovani che assumiamo: hanno un’attenzione al benessere aziendale molto diversa dall’atteggiamento rampante che c’era negli anni Ottanta — conferma Elena Bonanni, direttrice delle risorse umane per il Sud Europa di GE Oil & Gas, un’azienda petrolifera da 5.600 dipendenti —. Durante le selezioni, oltre alla retribuzione, ci chiedono spesso che cosa offriamo per la cosiddetta conciliazione». Tra le leve più diffuse c’è appunto quella del cosiddetto «lavoro agile»: in GE Oil & Gas significa tra le altre cose flessibilità di due ore sull’orario di entrata o uscita, la possibilità di chiedere il part-time verticale o orizzontale per i dipendenti (uomini e donne) che hanno figli fino ai tre anni di età o familiari malati, anche integrando il resto dell’orario con il telelavoro in modo da non perdere retribuzione, e poi il cosiddetto «lavoro remoto»: chiunque, qualsiasi incarico ricopra, in caso di emergenza può richiedere di lavorare occasionalmente da fuori dopo essersi accordato con il suo diretto responsabile.
In Vodafone Italia, che sullo «smart working» ha puntato molto, si registrano 5.000 giornate di lavoro agile al mese che coinvolgono 3.500 dipendenti. Un’azienda come Ibm Italia, inoltre, offre la possibilità di prendere periodi sabbatici per seguire interessi o progetti personali.

La manager part-time

Tra i nuovi benefit ci sono poi quelli che riguardano la cura della famiglia: Ikea estende l’aspettativa per la nascita di un figlio di oltre un anno rispetto a quella prevista per legge e con il nuovo integrativo ha introdotto dei giorni di permesso per i nonni a cui nascono nipotini. Inoltre tutti i dipendenti possono scegliere i turni sui quali lavorare e c’è la possibilità di optare per il part time anche nei ruoli manageriali. Lo hanno fatto, per la prima volta in Italia, Cristina Perico e Chiara Nalin che si dividono in «job sharing» la direzione del punto vendita di Padova e di quattrocento dipendenti. «Io prima ero responsabile vendite per l’Italia, Chiara responsabile marketing, entrambe abbiamo sempre lavorato a tempo pieno — racconta Perico, 51 anni —. Si è liberato il posto di Padova, una bella opportunità. Ma io vivevo a Milano, ho tre figli di 20, 15 e 9 anni che cresco da sola, avevano già cambiato città per seguire il mio lavoro e non volevo costringerli a farlo ancora. Ci siamo guardate in faccia con Chiara e abbiamo detto: “perché non lo facciamo insieme?”». Ora Perico lavora tre giorni alla settimana a Padova, gli altri li passa Milano con i figli, e ha uno stipendio manageriale calcolato sul part-time. «Ho potuto conciliare il fatto di stare più con loro e di continuare a fare un lavoro interessante: è la fortuna di lavorare in un’azienda che te lo permette. Uno dei motivi per cui dopo 19 anni in Ikea sono ancora qui».

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